A cura: Moreno Biagioni

Dalle esperienze dei Comuni di Riace e di Caulonia, in Calabria, vengono indicazioni preziose, utili anche qui in Toscana, per “prendersi cura”, da parte delle realtà locali, dell’ambiente, delle zone in via di abbandono, del recupero di mestieri tradizionali nell’agricoltura e nell’artigianato, dello sviluppo di comunità accoglienti e inclusive.
A Teano, nel 2010, l’Italia delle tantissime esperienze di base – solidali, a tutela dei diritti, dell’ambiente, dei beni comuni – si è incontrata per avviare la ricostruzione di un’unità del Paese che avesse il collante proprio in quelle esperienze, così profondamente in sintonia con i principi della nostra Costituzione antifascista.

Il punto 2 della Carta stilata a conclusione dell’incontro di Teano afferma: “L’Italia che sogniamo e che vogliamo … è l’Italia che accoglie il profugo, lo straniero perseguitato, disperato, costretto all’emigrazione da guerre e disastri ambientali, da un’economia globale escludente e punitiva con i più deboli. Un paese aperto al mondo, accogliente, multiculturale”.

Ed era stato proprio quanto era accaduto a Riace ed a Caulonia, presentato dai rispettivi Sindaci (Domenico Lucano e Ilario Ammendolia), a dare concretezza – la concretezza delle cose che è giusto, opportuno, possibile fare – a tale affermazione (nonchè all’articolo 10 della Costituzione).
Il  vento nuovo che sta soffiando oggi in Italia (i risultati delle elezioni amministrative e dei referendum lo mettono bene in evidenza) dimostra come alla paura ed al rinchiudersi in se stessi (l’egoismo contrapposto alla politica, quella vera, secondo la felice definizione di don Milani e dei ragazzi della Scuola di Barbiana) si vada sostituendo la coscienza che insieme è possibile lottare, incidere, cambiare lo stato delle cose esistente..

Ciò risulta particolarmente vero riguardo ai temi dell’accoglienza, dell’inserimento sociale, dell’inclusione.

In questo campo la paura e le ansie securitarie hanno prevalso in larga parte del Paese, alimentando per molto tempo le politiche nei confronti dei migranti, dei richiedenti asilo, dei profughi. E non solo nei provvedimenti del Governo, ispirati dal razzismo della Lega (punta avanzata di un sentire più diffuso), ma anche nelle misure adottate a livello locale (le famose ordinanze dei Sindaci, in cui Firenze ha un triste primato, che la Corte Costituzionale ha messo in gran parte in mora) e nel diffondersi di atteggiamenti ostili verso gli stranieri a livello popolare.

Certo, vi sono stati atti in controtendenza (fra gli altri, la legge regionale sull’immigrazione della Regione Toscana, approvata nel 2009), ma la sicurezza è rimasta a lungo la preoccupazione dominante, che ha influenzato e condizionato anche chi, a livello istituzionale,si proponeva politiche di accoglienza.

Oggi il circolo vizioso “paura, richiesta di maggiore sicurezza, aumento della paura e delle misure sicuritarie” si è cominciato a rompere – i risultati delle recenti elezioni amministrative lo dimostrano, in quanto l’allarmismo contro  i Rom e gli immigrati (contro le zingaropoli e le moschee) non ha pagato -. E’ estremamente urgente che se ne rendano finalmente conto quegli amministratori toscani che si attardano ancora ad inseguire le paure, in genere presunte, dei loro amministrati.

Per andare in un’altra direzione, partendo da altri presupposti – essenzialmente dai diritti delle persone, dalla loro realtà di esseri umani, dalle iniziative che favoriscono l’inclusione e la convivenza -, non bastano le enunciazioni, ma occorre un impegno notevole – nello sforzo di impostare e realizzare progetti concreti, nel dare voce  a chi non è rappresentato, nel far divenire realtà, nei vari territori toscani, la legge approvata nel 2009 e rimasta, in qualche modo, nel cassetto -.

Certo, di fronte a tutto questo, ricorrerà l’accusa di “buonismo”, ma, premesso che comunque il “buonismo” è sempre meglio del “cattivismo” di chi vorrebbe sparare sui barconi dei migranti (nello stesso modo in cui la tolleranza, benchè largamente insufficiente, è pur meglio dell’intolleranza), va sottolineato che il cosiddetto “buonismo” è fatto di parole e di enunciazioni generiche di principio, che non si misurano con i fatti ed a cui non seguono provvedimenti concreti, mentre ciò che prospettiamo è un insieme di provvedimenti, di progetti, di misure, di interventi politico/culturali volti ad affermare diritti, a promuovere pari opportunità, a sostenere rapporti di convivenza.

Dalle esperienze di Riace e Caulonia, di paesi cioè che la presenza dei migranti – essenzialmente profughi del Nord Africa – ha rivitalizzato, possono venire indicazioni valide anche per la nostra Regione.

Dalle esperienze in questione è nata una legge regionale calabrese volta a promuovere e far sviluppare l’inclusione dei profughi e dei richiedenti asilo (attualmente non finanziata da chi governa la regione – di centro/destra -).

Particolarmente importante è il fatto, già accennato all’inizio, che in quanto è stato pazientemente costruito in quelle realtà si sono intrecciati aspetti diversi: la tutela dell’ambiente, la cura di zone agricole e boschive, il restauro e la ristrutturazione di agglomerati in via di abbandono, il recupero di mestieri tradizionali, lo sviluppo di percorsi che, attraverso il confronto, hanno coinvolto insieme nativi e migranti.

Non si tratta, quindi, di interventi soltanto di accoglienza, spesso puramente assistenziali e destinati a concludersi in periodi più o meno brevi, ma di progetti complessivi che impegnano l’ente locale e l’intera comunità (e che proseguono nel tempo).

Qualche piccolo esempio di un simile modo di procedere lo abbiamo anche qui in Toscana.

E’ necessario però andare oltre, e cioè far sì che, di fronte all’arrivo ricorrente di profughi e richiedenti asilo, o comunque alla presenza di persone emarginate, non vi sia un’indifferenza istituzionale, quando non addirittura un’ostilità (spesso si è proceduto allo sgombero da un territorio comunale all’altro di quelle/i che vengono considerati “esuberi” rispetto alle capacità di accoglienza della propria realtà comunale).  A Firenze, ad esempio, a dare un tetto a profughi e richiedenti asilo, in prevalenza somali ed eritrei, è stata da lungo tempo l’iniziativa “privata” (fra virgolette) del Movimento di Lotta Popolare per la Casa.

Anche provvedimenti corretti e sensati come quello adottato dalla Giunta regionale toscana di fronte ai profughi dal Nord-Africa (che prevede l’accoglienza in strutture di piccole dimensioni diffuse sul territorio) hanno bisogno di ulteriori sviluppi.

L’obiettivo che ci dobbiamo porre, istituzioni e società civile attiva insieme, è quello di giungere ad un sistema regionale in grado di fornire una prima accoglienza a coloro che ne hanno bisogno, siano essi richiedenti asilo, profughi, Rom scacciati da un territorio ad un altro, persone rimaste comunque prive di abitazione in seguito a calamità naturali o altro.

Per passare poi, subito dopo, a processi di inclusione sulla base di progetti integrati, che prendano anche spunto dalle esperienze di cui discutiamo qui oggi (e che potranno avere un clima più favorevole, nelle istituzioni e nella società, grazie a quel vento nuovo che spira oggi nel nostro Paese).

I Sindaci di Riace e Caulonia ci hanno mostrato, con grande passione ed impegno, come sia possibile amministrare “restando umani”, con percorsi che mettono insieme, nell’elaborazione di progetti, enti locali, associazionismo e società civile attiva, “saperi” prodotti dalle realtà sociali e di movimento, dai luoghi di studio e di ricerca, da singole ccompetenze, in diversi settori che devono interagire fra di loro (dell’accoglienza e dell’inclusione, del recupero abitativo, dell’assetto urbanistico, del ripristino e del mantenimento delle aree boschive ed agricole, del recupero dei vecchi mestieri artigianali, dello sviluppo di un turismo “spalmato” sull’intera regione, e non solo nelle grandi città d’arte, della tutela dell’ambiente e del territorio, del consumo equo e solidale, della cooperazione, della formazione e dell’interculturalità).

E’ ora di prendere la rotta giusta ovunque, nelle diverse realtà locali e regionali, per imporre una svolta anche a livello nazionale.

Perchè, come hanno detto, e stanno dicendo, le donne con le loro iniziative, “se non ora quando?”.